Vai al contenuto principale

Critiche

Raccolta di opinioni che offrono uno sguardo più approfondito sull’opera del pittore e sul suo impatto nell’ambito artistico.

Giorgio Di Genova

Critico d'arte
Le eliocromie di Marco Di Francesco

Nel ‘900 la pittura ha conosciuto varie rivoluzioni linguistiche e molteplici arricchimenti espressivi che hanno di conseguenza coinvolto anche le tecniche operative, che spesso si sono mescolate per ottenere ulteriori soluzioni e nuovi risultati mai in precedenza raggiunti. L’arte del XX secolo è divenuta onnivora, incorporando media esterni ai relativi specifici linguistici, ma anche utilizzando strumenti, diversi dal pennello, tanto che il quadro ha conosciuto slittamenti verso il collage, il fumo delle candele, i connubi con la sabbia, con le pietre, con le limature di ferro, con il neon e tanti altri “tradimenti” nei confronti degli insegnamenti accademici. Nonostante il sole abbia avuto un ruolo spesso non secondario per alcuni pittori, finora nessuno aveva sostituito ai pennelli i raggi solari. L’ha fatto Marco Di Francesco con le sue opere che definirei elicromie, in quanto i colori di esse sono appunto ottenute attraverso l’esposizione per un mese intero ai raggi solari delle sue composizione preparate con cartoncini bristol azzurri, ricoperte con ritagli di cartoncino nero, sagomati secondo le morfologie, che intende ottenere, e bloccati nelle cornici con il vetro sovrapposto; ovviamente è un lavoro accurato e attento.

Deve orientare durante la giornata i suoi lavori seguendo il cammino del sole in cielo, così che i suoi lavori offrono con la dovuta inclinazione la loro superficie verso est la mattina, verso sud a mezzogiorno e verso ovest la sera. Di Francesco dedica il suo tempo a controllare il punto “di cottura” cromovisiva delle sue composizioni disegnate dalla disposizione dei cartoncini, sia a bande verticali, sia di intreccio ortogonale oppure con l’intreccio, sempre ortogonale, di sottili strisce di cartoncino.

I suoi lavori mi sembrano immersi in una certa aura orientale, specialemente quando “fioriscono” al sole, com’è nell’opera in cui i suoi laboriosi procedimenti eliocromatici fanno “sbocciare” una margherita all’interno di una composizione di dialoganti bande diagonali e ondulate. Il suo discorso artistico presenta tematiche fortemente abbarbicate ad un’ ottica di eleganza decorativa, dove certe morfologie si ripetono e dove inoltre, le modulazioni cromatiche sono tutt’ altro che squillanti, ed infatti il rosso non è mai presente, delegando alle sue contiguità l’incarico di veicolare i toni caldi. C’è infine un modulo che ricorre. Ed è quello del disco, che sono propenso a ricondurre alla matrice operativa a cui Di Francesco si rivolge: il sole. Tanto che i listelli differentemente intrecciati spesso si fanno assimilare ai raggi solari sia strutturalmente che visivamente.

Di Francesco si ispira constantemente ai fenomeni della natura, com’è giusto che avvenga per uno che ha eletto il sole a suo instrumentum pingendi.

Barbara Vinciguerra

Critico d'arte
La pittura solare di Marco di Francesco

Pittura di luce quella di Marco Di Francesco, pittura spirituale nel suo tendere all’infinito e nella rarefazione cromatica, in cui si ritrovano, negli esiti finali, le suggestioni dell’astrattismo italiano da Turcato a Dorazio. Il suo lento e laborioso processo nel lasciare che il sole “imprima” il suo segno ed egli sappia poi, con l’urgenza tipica del “fare”, riorganizzare le forme, in un rovesciamento del principio impressionista. così la natura il luogo percettivo che muove sia le scelte formali che cromatiche, orientando l’artista in una dimensione assolutamente mediterranea, di una natura in movimento, concepita nell’ attimo fissato nel suo esplodere in frantumi amorosi ed armonici.

Marco Di Francesco sembra condividere appieno l’afferamzione di Manet in cui è racchiusa tutta la poetica impressionistica: ” L’occhio, una mano “. La percezione e la manualità tecnica consentono l’affrancamento da una costrittiva terrestrità nella regione dello spirito dove si realizza il sentimento cosmico, dove natura e luce diventano un Uno-Tutto e la realtà si metamorfizza. Si origina così una pittura astratta nell’ accezione fortemente polimaterica ed antropologica, sottolineata e sostenuta dalla caratterizzazione di struttura pittorica-scultura dipinta, che si specifica nel valore di progettazione e redazione dell’ opera.

Il tessuto cromatico dell’ oepra crea uno spartito attraverso le morbide ondulazioni della carta inventando un ritmo atto ad accogliere le impronte del tempo, le scansioni lineari e geometriche come un flusso musicale che si organizza in segno visivo. In bilico tra elaborazione tecnica e scavo sentimentale la sua pittura sollecita nell’ osservatore la complicità di una suadente partecipazione. Come ha sostenuto proprio Piero Dorazio, l’arte astratta deve “indurre nell’ osservatore la sensazione che esiste nel quadro una dimensione che non è solo quella della superficie della tela, ma anche quella della mente, poichè un quadro astratto può anche essere a più di due dimensioni dato che la misura dello spazio non è fisica ma individuale e psichica”.

Marco Di Francesco è uno di quegli artisti che può condividere pienamente queste affermazioni e il suo lavoro ne è la chiara dimostrazione, nelle sfumate emozioni, negli impercettibili bagliori, nel piacere sensuale del colore.

Vincenzo Anzidei

Giornalista e scrittore
Le origini ricordano Giotto

Nasce a Ceriseto di Isola del Gran Sasso (Teramo) il 1° agosto 1950 da famiglia contadina. Ultimo di sei figli, conosce ben presto le difficoltà terrene, non trascurando comunque interessi di fondo che, precoci nell’indole, dovranno rivelarsi fondamentali per l’esistenza. Non sfuggono al giovane Marco, mentre accompagna il gregge al pascolo, le meraviglie della natura: il Gran Sasso, maestoso, imponente, che si erge a ridosso della sua casa e quasi la sovrasta, il verde e le rocce, le cascate d’acqua che balzano dal dirupo e il canto sfuggente della starna, i rintocchi del campanile che dall’ esiguo piano irradiano prima per le colline immediatamente prospicenti e si amplificano poi in sfumature dai toni diversi tra le impervie cime dell’appennino.

In tale scenario esistenziale, di forzata solitudine, si sviluppano e sprigionano potenza l’embrione della creatività, il gusto per il sublime, il trascendentale colloquio con la natura. Spirito tenace e avvezzo a non ricevere nulla senza prezzo, forgia la propria formazione culturale senza necessariamente rifarsi ai maestri contemporanei e del passato, anzi, abiurando gli schemi di vita convenienti e la inculcante pubblicità. La sua vocazione è dal mondo contadi-no, dall’abitudine a calpestar fango ed erba con rispetto, conscio di un equilibrio e di un ordine naturale delle cose. È l”Emile” di Rousseau preso a modello, per una concezione semplicistica di vita predisponente ad un arricchimento naturale ed autentico dell’io”.

La gente comincia ad accorgersi del ragazzo che dipinge sopra i sassi; ma questi sembra non dare peso ai giudizi ed ai pronostici dei paesani. Tuttavia le condizioni ambientali sono propizie alla sua adolescenza: i compagni di gioco sono testimoni di bozzetti che spuntano come dal nulla e destano in tutti ammirazione quelle figure di guerrieri che prendono così rapidamente forma sulla carta. A quindici anni prendono così linea decisa i primi bozzetti, ai quali il giovane volentieri accompagna versi di fresche poesie, come a completamento di autentica di opere che già esprimono per intero significati non comuni. Gli anni dell’esplosione economica sono già motivo di riflessione sull’evolversi della comunità sociale: il ragazzo s’aggrappa ancora di più alla sua libertà, che è costituita dalla vicinanza dei monti, degli alberi dal verde intenso, degli uccelli, insomma da tutto lo scenario naturale che circonda il piccolo borgo di Ceriseto. Fino a diciotto anni vive in questo ambiente, poi, nel 1968, si trasferisce a Roma.

Non sente, nel senso che non partecipa in prima persona ai fermenti di quell’anno, ma finisce per subirne indirettamente molti scompensi. E’ l’emigrato che un po’ sopporta, che vive ai margini, traendo forza e capacità d’inserimento e penetrazione dal ricordo e dalla saldezza di principi originati in luoghi incontaminati, scevri dal pregiudizio e dalla falsa retorica. E’ in questo periodo che prende maggior corpo una pittura autobiografica (tema della solitudine, il giovane con la chitarra sulle spalle che va verso l’aurora, ecc…) dove prevale in assoluto il sentimento, il solo capace di comunicare e vincere la più grande ostilità.

Per Marco Di Francesco è il periodo dell’azzurro”, colore tanto caro al pittore che, attraverso le sfumature delle tonalità, riesce magistralmente a riportare sulla tela i diversi momenti dell’animo umano, a cominciare dalle sue sofferenze interiori.

Vincenzo Anzidei

Giornalista e scrittore
La pittura solare di Marco di Francesco

Nel periodo della maggiore maturità l’artista propone, nell’ umiltà che gli è propria, una serie di lavori destinati a lasciare traccia indelebile. In un momento di appiattimento della creatività e di un interesse raffreddato per l’arte moderna, che non produce idee e quindi nuova scuola di pensiero, Di Francesco propone la sua tecnica permeata di una reminescenza di usi e costumi oramai spariti e quasi dimenticati. Sicchè la sovrapposizione dei listelli, con i quali forma figure geometriche e concepisce volti, ora chiari, ora scuri, a seconda dell’ esposizione al sole, ricordano l’intreccio dei vimini attraverso il quale venivano realizzati artigianali contenitori di uso quotidiano.

E’ l’inizio di una nuova autentica concezione artistica? Marco Di Francesco ne è stato il precursore già vent’ anni fa e le cronache d’arte, giustamente, ne hanno sottolineato l’evento.

Antonio Spinosa

Giornalista - Editore
L'arte del sole nella pittura di Marco Di Francesco

Sono rimasto stupito, anzi meravigliato, al cospetto dell’ originalità pittorica di Marco Di Francesco, mentre constatavo: “Si può ancora inventare nell’arte!”. E quella di Di Francesco è pura invenzione, originalissima. Fa pittura con sitriscioline di carta esposte al sole. Sovrapponendo queste striscioline riesce a darti, emozioni e, oltre tutto, a sollecitare la tua curiosità.

Come è arrivato a tanto? Ha avuto maestri in questa sua straordinaria invenzione? A lume di naso credo di no: è tutta farina del suo sacco. E credo che ci stupirà ancora. Perchè credo che uno solo sia il grande mistero del suo lavoro, quello di non ripiegarsi in se stesso, quello di non essere contento di ciò che ha fatto. Ma andrà avanti, e ci stupirà ancora con le sue invenzioni artistiche.

Elio Mercuri

Autore

Marco in una costante meditazione accompagna il mistero della creazione, così come da una pietra e da un ramo, da un lembo di esistenza irrompe a sconvolgere la routine consumata e divorante della vita, apre a nuove realtà, rende possibile un nuovo equilibrio tra ciò che è dimensione del nostro inconscio e spazio del mondo. La scintilla, dalla zona d’ombra, dal nulla, dall’abisso della morte, dall’ emarginazione, che illumina la presenza dell’essere, riscatta ogni creatura, legittima ogni sogno, da senso ad ogni parola della poesia. Il lavoro di Marco è tutto in questo raccogliere nella dimensione di un quadro i segni dell’attesa, di ritrovare il filo che lega tutto ciò che vede e sa, con un destino, una superiore ragione, un senso, che non appartiene al “regno”, al “palazzo”, del potere e del mercato e proprio perciò è assoluto ed eterno, traccia e impronta che la parola tramanda e la pittura incarna, immagine come “imago mundi”.

Placido Scandurra

Pittore, incisore e restauratore

Da molto tempo conosco Marco di Francesco, sin da quando frequentava la Scuola d’Arte Ornamentale del Comune di Roma. I dipinti del suo primo periodo raffigurano soprattutto le periferie di Roma. Essi scaturiscono da un impatto brusco che il pittore ha con la grande città. A questo periodo appartengono i temi della solitudine, dell’alienazione collettiva, del degrado ambientale, della distruzione del nostro patrimonio naturalistico.

Un altro gruppo di lavoro è legato prettamente al simbolismo: frutto di uno studio attento e approfondito della cultura Zen, della ricerca del se interiore come è inteso nel mondo orientale. Appartengono a questo periodo una serie di lavori su superfici lignee, trattate con un sistema di impressione solare. Utilizzando forme sagomate di elementi naturali, esposti al sole per alcuni mesi, gli ultravioletti trasformano la superficie scurendola e creando delle sensibili trasparenze ed ombre. Questo tipo di ricerca è unica nel suo genere. Negli ultimi tempi si è dedicato alla tecnica dell’incisione. Su lastre di zinco incide con piccole punte le mille storie della natura.

Marco spesso lascia la famiglia per settimane, come i vecchi pittori impressionisti, e con il suo furgone va in cerca di paesaggi ancora non brutalizzati dal cemento. Si sposta soprattutto nell’Italia del Sud, Calabria e Sicilia, attratto dal forte contrasto di luce e dalla millenaria bellezza. Dipinge dal vero, cercando di cogliere e impressionare sulla tela le emozioni del momento. Marco Di Francesco nei suoi paesaggi mediterranei, ci trasmette la semplicità della vita, scene quotidiane ma viste con occhio nuovo, non banalizzate, momenti d’esistenza di ognuno di noi, gesti consueti, ordinari, infiniti. Eppure rivisti attraverso i quadri, queste scene o momenti diventano solenni e pieni di significato.

Marco Di Francesco rende importante ciò che trascuriamo e punta la sua attenzione là dove non guardiamo mai.

LO STUDIO

Via Bollengo 32/D
00123 | Roma | Italia

CONTATTI

T: +39 329 20 31 548
E: marcodifrancesco@live.it

Verificato da MonsterInsights